Lo scorso 18 novembre la Corte di Giustizia Europea (C-147-19), nel dare la propria interpretazione dell’articolo 8, par. 2, della direttiva 92/100/CEE e dell’articolo 8, par. 2, della Direttiva 2006/115 / CE, ha stabilito che la equa remunerazione non deve essere versata dall’utente qualora effettui una comunicazione al pubblico di una registrazione contenente un'opera audiovisiva in cui è stato incorporato un fonogramma o una sua riproduzione.
La Corte di Giustizia è stata investita della questione da parte del Tribunale Supremo spagnolo, nel corso di un procedimento tra le società di gestione collettiva AGEDI-AIE e l’emittente Atresmedia, sottoponendo alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
1. Se il concetto di "riproduzione di un fonogramma pubblicato a fini commerciali" include la riproduzione di un fonogramma pubblicato per scopi commerciali in una registrazione di un’opera audiovisiva;
2. Se un’emittente televisiva che, per qualsiasi tipo di comunicazione al pubblico, utilizza una registrazione di un'opera cinematografica o audiovisiva in cui è stato riprodotto un fonogramma pubblicato per scopi commerciali, è sottoposta all’obbligo di pagare l’equo compenso previsto dall'articolo 8, paragrafo 2, delle suddette direttive.
Interessanti i passaggi logico-giuridici che la Corte fa al fine di dare soluzione a tali questioni.
In primo luogo, considerato che nessuna direttiva europea definisce espressamente il concetto di "fonogramma” o espressamente rinvii alle disposizioni dei singoli stati membri, essa reputa necessario stabilire se una registrazione contenente un’opera audiovisiva sia un "fonogramma" o una "riproduzione di fonogramma", andando a determinarne il significato e la portata secondo l’uniforme interpretazione che ne viene data in tutta l'Unione Europea, nonché all’interno di disposizioni di diritto internazionale in materia.
A tale ultimo riguardo la Corte fa riferimento alla Convenzione di Roma, fondamentale trattato in materia di diritto d'autore, in cui il "fonogramma" è definito come “ogni fissazione “esclusivamente uditiva" dei suoni di un'esibizione o di altri suoni”, con la conseguenza che la fissazione di un’opera audiovisiva, implicando la fissazione di immagini oltre che suoni, non potrebbe rientrare in alcun modo in questo concetto.
La Corte a questo punto ricorda però anche il concetto equivalente contenuto nel WPPT (parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'UE) - dove per "fonogramma" si intende la "fissazione dei suoni di una performance o di altri suoni, o di una rappresentazione di suoni, diversa dalla fissazione incorporata in a opere cinematografiche o altre opere audiovisive" - il quale, a parere della Corte, ha aggiornato la definizione di "fonogramma" di cui alla Convenzione di Roma, con l'effetto che solo nel caso in cui una fissazione audiovisiva non si qualifichi come “opera audiovisiva”, la fissazione di suoni di una performance o di altri suoni incorporati in tale fissazione, deve essere considerato "fonogramma".
Da tale premessa se ne deduce che un fonogramma incorporato in un film o altra opera audiovisiva perde il suo status di "fonogramma" nella misura in cui fa parte di tale opera senza però alcun effetto pregiudizievole sui diritti spettanti ai titolari sul fonogramma incorporato nell’opera i quali devono autorizzare tale uso.
Alla luce delle valutazioni sopra espresse, la Corte ha dunque ritenuto che una registrazione contenente la fissazione di un’opera audiovisiva non può essere classificate come "fonogramma" o “riproduzione di fonogramma” ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 92/100 o articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2006/115 con la conseguenza che la comunicazione al pubblico di tale registrazione non dà diritto all’equo compenso previsto in tali disposizioni, ma che tale remunerazione debba rinvenirsi nel compenso concordato tra i titolari dei diritti sui fonogrammi e i produttori di opere audiovisive all’atto di sottoscrizione di specifici accordi per la loro riproduzione all’interno di tali opere.
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